Brindisi, agosto 2013

storie_07

Nelle mie brevi vacanze ho avuto l’occasione di visitare questa città e di stupirmi. Stupirmi per la sua bellezza e, soprattutto, per la fierezza con la quale il suo porto accoglie i viaggiatori.

Non l’accoglienza di uno Stato naufrago, che si ostina a elemosinare ad altri un aiuto che non può permettersi, ma l’accoglienza di una Nazione che ha alle proprie spalle una storia da insegnare, da trasmettere, da difendere e farsi invidiare.
Perché il porto di Brindisi ti accoglie con un monumento, un timone alto 53 metri, possente, che pare possa far tremare il mondo senza che lui ne risenta. Maestoso, ma non per celebrare se stesso; bensì i marinai d’Italia e, soprattutto, quelli che, nella Grande Guerra, si sono sacrificati perché l’Italia affermasse il suo ruolo sul Mediterraneo. Un tributo offerto dall’Italia, nel 1933, a chi all’Italia aveva offerto il proprio grande, sublime tributo. Dalla terrazza sulla sua sommità è possibile ammirare un panorama unico, di una città ordinata e consapevole. Molti di lì sono salpati per morire, perché noi oggi ereditassimo l’appartenenza a una Nazione fra le più gloriose di tutti i tempi, che ciascuno di noi intimamente dovrebbe difendere erigendo in cuor suo il proprio, personale, monumento a tutti i soldati d’Italia e a tutti i civili che l’hanno resa grande.

Con gli occhi su quell’obelisco ho rivolto un pensiero ai marò prigionieri in India.
A ottobre sarà un anno e mezzo che i due sono nelle mani della “giustizia” indiana senza che il nostro governo abbia la forza di farsi rispettare. Ciò che un tempo veniva celebrato, oggi viene dimenticato. Frammenti di identità nazionale perduti nell’Oceano indiano, mentre il Mediterraneo, da quel timone in grembo, lancia un grido per riavere i suoi figli a casa.

Mentre la diplomazia sonnecchia, noi, nel nostro petto, ricordiamo che fummo maestri e fieri, per essere degni oggi, nel 2013, di questa grandezza. È una sfida avvincente.
Ecco perché Memento.

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