Amedeo Umberto Lorenzo Marco Paolo Isabella Luigi Filippo Maria Giuseppe Giovanni di Savoia-Aosta, soprannominato Duca di Ferro ed eroe dell’Amba Alagi (Torino, 21 ottobre 1898 – Nairobi, 3 marzo 1942), membro di Casa Savoia appartenente al ramo Savoia-Aosta, fu viceré d’Etiopia dal 1937 al 1941.
Medaglia d’Oro al Valore Militare
«Comandante superiore delle Forze Armate dell’Africa Orientale Italiana, durante undici mesi di asperrima lotta, isolato dalla Madre Patria, circondato da nemico soverchiante per mezzi e per forze, confermava la già sperimentata capacità di condottiero sagace ed eroico. Aviatore arditissimo, instancabile animatore delle proprie truppe le guidava ovunque, per terra, sul mare e nel cielo, in vittoriose offensive, in tenaci difese, impegnando rilevanti forze avversarie. Assediato nel ristretto ridotto dell’Amba Alagi, alla testa di una schiera di prodi, resisteva oltre i limiti delle umane possibilità, in un titanico sforzo che si imponeva all’ammirazione dello stesso nemico. Fedele continuatore delle tradizioni guerriere della stirpe sabauda e puro simbolo delle romane virtù dell’Italia Imperiale e Fascista. Africa Orientale Italiana, 10 giugno 1940-18 maggio 1941.»
— 1941
Amedeo nacque a Torino nel 1898 da Emanuele Filiberto, secondo duca d’Aosta, e da Elena di Borbone-Orléans. Quale erede del ducato d’Aosta ricevette il titolo di duca delle Puglie. A nove fu inviato al collegio di St. Andrew di Londra, nel Regno Unito; tornato in Italia fu avviato alla carriera militare a quindici anni e iscritto al Reale Collegio della Nunziatella di Napoli. Ben presto Amedeo si scontrò con le rigide consegne imposte agli altri studenti: nessuno doveva rivolgersi per primo al principe, e, se interpellato, doveva mettersi sull’attenti e rispondere esclusivamente: “Sì altezza reale, no altezza reale”. Infastidito da tanta formalità, Amedeo permise ai propri compagni di dargli del “tu” e di omettere il titolo di Altezza Reale.
Amedeo di Savoia Aosta, caporale delle Voloire, con la madre Elena
All’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale si arruolò volontario, a soli 16 anni, come soldato semplice nel Reggimento artiglieria a cavallo “Voloire”. Il padre Emanuele Filiberto lo presentò al generale Petitti di Roreto dicendo: “Nessun privilegio, sia trattato come gli altri”. Venne subito destinato alla prima linea, con il grado di caporale e servente d’artiglieria sul Carso, guadagnandosi sul campo il grado di tenente per merito di guerra. Al termine del conflitto ottenne dal padre il permesso di seguire lo zio Luigi Amedeo, duca degli Abruzzi in Somalia, dove era impegnato nell’esplorazione del fiume Uèbi Scebèli con lo scopo di realizzare una fattoria per la coltivazione di cotone, canna da zucchero e semi oleosi. Insieme costruirono una ferrovia ed un villaggio, battezzato Villaggio Duca degli Abruzzi.
Successivamente Amedeo studiò all’Eton College ed alla Oxford University, imparando perfettamente la lingua inglese. Nel 1921 Amedeo partì per il Congo Belga. L'”esilio” temporaneo, secondo la cronaca scandalistica dell’epoca, derivò da una sua battuta sul re e la regina. Durante un ricevimento, all’apparire dei regnanti, fu riportato avesse detto: “Ecco Curtatone e Montanara”. Il riferimento alla battaglia risorgimentale era velatamente rivolto anche alla bassa statura di Vittorio Emanuele e alla nazione di provenienza della regina: il Montenegro. La battuta fu sentita e il giorno dopo, fu convocato il padre dal re e deciso l’allontanamento da corte. Amedeo si recò in Africa e si fece assumere sotto pseudonimo come operaio semplice in una fabbrica di sapone a Stanleyville (oggi Kisangani).
Il 24 luglio 1925, rientrato in Italia, conseguì la licenza di pilota militare. Tornato in Africa, Amedeo compì numerosi voli di ricognizione, guadagnando una medaglia d’argento al valor militare per le ardite azioni in volo sulla Cirenaica. Successivamente si laureò in giurisprudenza all’Università di Palermo con una tesi intitolata I concetti informatori dei rapporti giuridici fra gli stati moderni e le popolazioni indigene delle colonie, esaminando il problema coloniale sotto l’aspetto morale e sostenendo che l’imposizione della sovranità di uno stato sugli indigeni si giustifica moralmente solo migliorando le condizioni di vita delle popolazioni colonizzate. Durante gli anni trenta risiedette presso il Castello di Miramare, a Trieste, mentre comandava il 4º Stormo Caccia di Gorizia, passando poi al comando della Brigata Aerea e infine della Divisione Aerea “Aquila”.
Amedeo d’Aosta ed Anna d’Orléans il giorno delle nozze.
In quel periodo fu anche presidente onorario dell’Unione Sportiva Triestina Calcio. Nel 1935, allo scoppio della Guerra d’Etiopia, chiese d’andare al fronte, ma il Re rifiutò, motivandolo con la sua posizione nell’ordine di successione al trono. Intanto si parlava anche di proposte ed intese per far diventare Amedeo re di qualche nazione europea: al termine della guerra civile spagnola, nel 1939, si era pensato di dargli il trono di Spagna, lasciato libero dai Borbone, ma la proposta decadde per l’opposizione di Francisco Franco.
In seguito ci furono incontri fra alti esponenti politici ungheresi ed italiani affinché Amedeo cingesse la corona d’Ungheria, rimasta vacante dopo la sconfitta degli Asburgo al termine della prima guerra mondiale (volendo mantenere la monarchia, dato che la corona rappresentava l’unità e l’indipendenza dello stato, al termine della prima guerra mondiale gli ungheresi trovarono una soluzione di compromesso nominando un reggente nella persona dell’ammiraglio Miklós Horthy, in attesa della futura salita al trono di qualche re che non fosse un Asburgo, dinastia contro la quale le potenze vincitrici della guerra avevano posto il veto[2]. La morte di Amedeo nel 1942, però, fece sfumare il piano di mettere un Savoia sul trono di Budapest.
Eroe dell’Amba Alagi
A seguito della morte del padre Emanuele Filiberto nel 1931, Amedeo assunse il titolo di duca d’Aosta. Nel 1932 entrò nella Regia Aeronautica e diventò, dopo la conquista italiana del 1936, viceré d’Etiopia. Dopo la seconda guerra italo-abissina, il 21 ottobre 1937 Amedeo di Savoia fu nominato governatore generale (e quindi comandante in capo) dell’Africa Orientale Italiana e viceré d’Etiopia. Nel 1941, di fronte alla travolgente avanzata degli inglesi nell’Africa Orientale Italiana, le poche truppe italiane rimaste al suo comando si ritirarono per organizzare l’ultima resistenza sulle montagne etiopi.
Amedeo si asserragliò dal 17 aprile al 17 maggio 1941 sull’Amba Alagi con 7.000 uomini, una forza composta da carabinieri, avieri, marinai della base di Assab, 500 soldati della sanità e circa 3.000 militari delle truppe indigene. Lo schieramento italiano venne ben presto stretto d’assedio dalle forze del generale Cunningham (39.000 uomini). I soldati italiani, inferiori sia per numero che per mezzi, diedero prova di grande valore, ma, rimasti stremati dal freddo e dalla mancanza di munizioni, acqua e legna, si dovettero arrendere ai britannici. Il giorno 14 Amedeo ottenne da Mussolini l’autorizzazione alla resa e designò come negoziatore il generale Volpini, che, però, fu massacrato con la sua scorta dai ribelli etiopi che circondavano le linee italiane.
Poco prima della resa Amedeo autorizzò gli indigeni della sua truppa a tornare nei propri villaggi (e altrettanto autorizzò a fare ai suoi ufficiali), ma, come risulta dai bollettini del 1941 del SIM, gli abbandoni non furono superiori alla quindicina di casi, testimoniando il profondo legame che si era instaurato fra lui stesso, i suoi più giovani ufficiali ed i loro ascari. A mezzogiorno del 17 maggio le condizioni della resa vennero pattuite dai generali Trezzani e Cordero di Montezemolo per parte italiana e dal colonnello Dudley Russel per parte britannica. I militari di Sua Maestà Britannica, non solo in omaggio del comandante nemico appartenente alla migliore nobiltà europea, ma anche in segno di ammirazione per la fermezza da loro mostrata, resero gli onori delle armi ai superstiti, facendo conservare agli ufficiali la pistola d’ordinanza.
Lunedì 19 maggio 1941, all’ingresso della caverna-comando, comparve Amedeo d’Aosta, viceré d’Etiopia, in cravatta d’ordinanza, guanti di filo e stivali color kaki. Da Forte Toselli il Duca si avviò scendendo a passi rapidi, mentre alla sua sinistra marciava il generale inglese Maine, scortato da un sottufficiale sudafricano. Su due colonne li seguivano i soldati del presidio, carichi di armi leggere, zaini, valigie di cartone legate con lo spago, chitarre e fagotti. Molti piangevano. Tutti, per ordine di Amedeo, si erano rasati la barba e tagliati i capelli.
Ancora più indietro, in disordine, gli ascari superstiti dei battaglioni abissini con le donne tigrine che si erano portate lassù. Amedeo d’Aosta rese il saluto al picchetto d’onore ed alla bandiera italiana che si ammainava. Tuttavia, i britannici non rispettarono del tutto le clausole delle condizioni di resa da essi proposte e liberamente sottofirmate. Dopo la cerimonia dell’onore delle armi, infatti, i soldati italiani vennero lasciati in balìa delle truppe indigene, che li depredarono di ogni cosa. Allo stato maggiore non fu concesso di seguire il Duca come stabilito.
La prigionia
Amedeo, prigioniero di guerra numero 11590, venne trasferito in Kenya in aereo. Durante il volo gli vennero ceduti per alcuni istanti i comandi, in modo da consentirgli di pilotare per l’ultima volta. Arrivato in Kenya venne tenuto prigioniero dagli inglesi insieme al suo Ufficiale d’ordinanza – il tenente pilota Flavio Danieli – presso Dònyo Sàbouk, una località insalubre ed infestata dalla malaria a 70 chilometri da Nairobi. Nonostante Amedeo intercedesse presso le autorità inglesi affinché migliorassero le condizioni dei militari italiani e per il rimpatrio dei civili, il comando britannico non gli consentì di ricevere nessuno né di visitare gli altri prigionieri.
Nel novembre 1941 iniziò ad accusare alcuni malori; a dicembre una febbre alta lo costrinse a letto: tre settimane dopo il comando britannico permise ad Amedeo di recarsi a visitare i prigionieri italiani (sarebbe stata l’ultima sua uscita), ma gli impedirono di salutarli personalmente: Amedeo ottenne solo che la sua vettura procedesse a passo d’uomo di fronte ai cancelli del campo di prigionia. Dietro i cancelli i prigionieri italiani gli tendevano le mani e lo chiamavano per nome, mentre Amedeo non si curava di asciugare le lacrime che gli rigavano il volto. Il 26 gennaio 1942 gli vennero riscontrate malaria e tubercolosi: tale diagnosi, per le condizioni in cui si trovava, significava morte certa.
Amedeo scomparve il 3 marzo 1942 nell’ospedale militare di Nairobi dove fu da ultimo ricoverato. Al suo funerale anche i generali britannici indossarono il lutto al braccio. Per sua espressa volontà è sepolto al sacrario militare italiano di Nyeri, in Kenya, insieme a 676 suoi soldati. Poiché Amedeo aveva avuto solo figlie femmine, nel titolo ducale gli succedette il fratello Aimone. Amedeo aveva fama di essere un gentiluomo; prima di lasciare la sua sede di Addis Abeba scrisse una nota ai comandi britannici per ringraziarli in anticipo della futura protezione alle donne e ai bambini del luogo.
L’imperatore Hailé Selassié, inoltre, fu impressionato dal rispetto che Amedeo dimostrò nei suoi confronti. Durante la sua visita ufficiale in Italia, nel 1953, Hailé Selassié invitò per un tè Anna d’Orléans, vedova del Duca d’Aosta, ma, quando il governo italiano lo informò che ricevere la Duchessa avrebbe offeso la repubblica, Hailé Selassié fu costretto a cancellare l’incontro con dispiacere. In sostituzione, invitò il quinto duca d’Aosta in Etiopia verso la metà degli anni sessanta e gli accordò tutti gli onori di un capo di Stato.