19 Maggio 1916: in memoria di DAMIANO CHIESA, Protomartire della Grande Guerra.

Damiano Chiesa nacque nella città trentina di Rovereto il 24 maggio 1894, da Gustavo (1858 – 1927) e Teresa Marzari. Fin da piccolo si rifiutava di ritenersi austriaco e detestava la lingua tedesca, nutrendo forti sentimenti irredentisti. Nel 1913 conseguì la maturità presso la Realschule (sorta di scuola media superiore dell’epoca) nella sua città natale, allora parte dell’Impero austro-ungarico. Ma la scuola gli aveva anche instillata una così profonda avversione per la lingua tedesca, che il giorno degli esami, ritornando a casa, annunciò ai suoi il lieto avvenimento con queste parole: «E adess basta per sempre col todesch!» Espresse così alla famiglia il desiderio di studiare in Italia e si iscrisse al Politecnico di Torino. Dopo qualche tempo continuò i suoi studi presso la Facoltà di Ingegneria navale di Genova. Durante il tempo che trascorse in Italia fu un fervente irredentista, tanto da realizzare con un gruppo di compagni un giornale quindicinale, L’ora presente, che costituiva uno dei più forti manifesti dell’irredentismo trentino a Torino. Nell’aprile del 1914 il padre fu eletto deputato per i liberal-nazionali alla Dieta del Tirolo per il collegio di Rovereto (nelle stesse elezioni Cesare Battisti lo fu per quello di Trento nelle file dei socialisti).

Si trovava a Rovereto per le vacanze quando giunse la notizia che l’Austria chiamava alle armi la classe 1894. Munito di regolare passaporto, partì col padre, la sera del 13 settembre 1914 e ritornò a Torino. Nel gennaio del 1915, su consiglio del padre, si recò presso il consolato austro-ungarico di Genova per subire la visita militare. «Il medico del consolato voleva dichiararmi idoneo alle armi, ed io gli dissi che in Austria non sarei ritornato per prestare servizio. Egli non si agitò, e, mentre gli mettevo sul tavolo 20 lire, ordinò allo scrivano di scrivere sul verbale ch’io ero classificato non idoneo, non so poi per quale difetto».

Il 28 maggio 1915 si arruolò volontario nell’esercito italiano, 6º Reggimento Artiglieria da Fortezza. Pur di raggiungere al più presto il fronte, accettò in un primo tempo di svolgere le umili mansioni di attendente di un ufficiale. Come era prassi imposta per tutti gli irredentisti che si trovavano in prossimità del nemico, gli fu assegnato un nome di guerra: “Mario Angelotti”. Destinato inizialmente ad un forte di sbarramento sopra Valli dei Signori (dal 1926 Valli del Pasubio), il 17 giugno 1915 raggiunse una batteria leggera sul Monte Testo, di fronte al Col Santo, oltrepassando così «il vecchio e odiato – nemico – confine, in uniforme da soldato italiano». Dopo aver frequentato un corso accelerato per conseguire il grado di sottotenente, nel febbraio del 1916 fu aggregato al 9º Reggimento della stessa Arma che operava sul Coni Zugna, a sud di Rovereto. Nel frattempo, la sua famiglia era stata deportata nel campo di internamento austriaco di Katzenau. Suo compito principale era dirigere il fuoco sulle linee austriache in luoghi che conosceva benissimo. Fu fatto prigioniero in quel settore, a Costa Violina, il 16 maggio 1916, dai Kaiserjäger[senza fonte] mentre si trovava in una caverna per la protezione dal tiro dei cannoni, che anch’egli aveva contribuito a costruire.
Il primo a riconoscerlo fu Paul Peterschütz (prussiano di origine ma cittadino austriaco dal 1914, da 15 anni orologiaio a Rovereto, sergente addetto all’ufficio informazioni presso il comando dell’8° Corpo d’Armata), che nel 1919 si rifugerà oltre Brennero a causa delle persecuzioni operate dai fascisti [senza fonte]. Tradotto poi ad Aldeno, ivi lo identificarono anche Josef Albertini, sergente della polizia municipale, Johann Cembran, sergente della gendarmeria distrettuale, e Teopisto Barozzi, impiegato postale, tutti di Rovereto. Rodolfo Bonora, assessore comunale, anch’egli roveretano, negò invece di poterlo identificare, benché pure lui l’avesse riconosciuto. Il giorno 18 fu incarcerato a Trento nel Castello del Buonconsiglio, dove subì gli oltraggi e le angherie di alcuni ufficiali austriaci .

Il giudizio statario (sorta di rito abbreviato per i reati di carattere militare) per il delitto di alto tradimento iniziò alle 8 antimeridiane del 19 maggio e si svolse nella villa Gerloni, in via della Saluga, dove aveva sede il tribunale militare dell’XI armata. La sentenza, pubblicata alle 17,30 dello stesso giorno, prevedeva la pena di morte per capestro, ma il Generale Viktor Dankl, cui spettava di approvarla e renderla definitiva, dispose – secondo taluni perché il condannato non era stato considerato né un disertore, né una spia, secondo altri per la sua giovane età – che venisse eseguita invece mediante fucilazione. Ciò che fu fatto, verso le ore 19, nella “fossa della cervara” del Castello del Buonconsiglio a Trento.

Alla fine della guerra fu insignito dell’appellativo di “Protomartire della Grande Guerra”. Insieme a Cesare Battisti e Fabio Filzi, costituisce la triade dei Martiri trentini e con loro è ricordato nel Monumento alla Vittoria di Bolzano. Il Politecnico torinese gli conferì la laurea honoris causa. È soprattutto ricordato presso il Museo storico italiano della guerra a Rovereto, ove, insieme ai suoi effetti personali, è custodita la sua ultima lettera inviata alla famiglia. Le sue spoglie sono conservate a Rovereto, presso l’Ossario di Castel Dante.

Medaglia d’oro al valor militare alla memoria

«Fervente apostolo dell’italianità della sua terra, quando suonò l’ora di affermarla con le armi, tra i primi accorse come semplice soldato ed insistentemente sollecitò, finché l’ottenne, l’onore di essere destinato ai reparti più avanzati, dove rese utilissimi servigi in ardite operazioni ad immediato contatto con l’avversario, noncurante dell’estrema gravità che avrebbe avuto per lui l’eventuale cattura. Sottotenente in una delle batterie più avanzate, allo sferrarsi di un attacco di soverchianti forze nemiche, pur sapendo che era stato dato ordine che egli fosse ritirato indietro in caso di evidente pericolo, volle rimanere al suo posto, per sciogliere fino all’ultimo il voto del proprio patriottismo, ed anche quando, per l’incontenibile appressarsi della travolgente onda avversaria, i pezzi furono resi inservibili per essere abbandonati, volle restare a combattere, cercando invano sul campo quella morte che sola poteva ormai salvarlo dal supremo martirio. Circondato e fatto prigioniero, subì con stoica fermezza i maltrattamenti dei nemici. Tratto dinanzi ai giudici, riaffermò solennemente i suoi sentimenti di appassionata italianità e con fiero atteggiamento affrontò il supplizio, cadendo fucilato, col nome d’Italia sulle labbra; fulgido esempio di patriottico ardore e di insigne eroismo.»
— Costa Violina (Trento), 15-19 maggio 1916

Ultima lettera di Damiano Chiesa alla famiglia

« Papà, mamma, Beppina, Jole ed Emma carissimi,
Negli ultimi momenti di mia vita, confortato dalla Fede, dalla S. Comunione e dalle belle parole del curato di campo, mando a tutti i miei cari i saluti più cari, l’assicurazione che nell’altra vita non sono morto, che sempre vivo in eterno che sempre pregherò per voi tutti.
Devo ringraziarvi di tutto quanto avete fatto per me e domando il vostro perdono.
Sempre vostro aff.mo figlio
Damiano »
(Damiano Chiesa)