Non stupisce che di fronte alla caratura morale di Adriano Visconti i suoi piccoli aguzzini abbiano deciso di sparargli alle spalle; la loro guerriglia, asservita ai liberatori del momento, non ha mai avuto la dignità della Guerra, quella vera, e spesso lo ha dimostrato, come in occasione della morte di Adriano Visconti. Il petto, Adriano, lo aveva coperto di medaglie guadagnate in anni in cui i cieli erano solcati dalle agguerrite aeronautiche di tutto il mondo, che oggi ancora gli riconoscono un valore militare eguagliato da pochissimi piloti al mondo.
Nato a Tripoli nel novembre 1915, muore a Milano il 29 aprile 1945, dopo aver servito la Patria divenendo un asso dell’aviazione. Dopo l’addestramento comincia a combattere sui cieli dell’Africa Settentrionale, nel giugno del 1940. Giunte le notizie relative all’armistizio, nel disordine più completo generato da disertori, adesioni alla Regia Aeronautica o alla Repubblica Sociale, decide di partire su un Macchi seguito da un pugno di avieri ed ufficiali alla volta di Guidonia e aderire alla resistenza fedele a Mussolini per proteggere le città italiane dai massicci bombardamenti alleati. Partecipa così alla costruzione dell’Aeronautica Nazionale Repubblicana e viene posto al comando della Prima Squadriglia. Divenuto Maggiore nel 1944, prende il comando del 1° Gruppo Caccia “Asso di Bastoni”.
Le fonti che riferiscono delle sue imprese sono molteplici, dunque oggi pare impossibile dare con certezza il numero degli abbattimenti accreditabili ad Adriano Visconti; la cifra maggiormente avvalorata è di 26 abbattimenti in 600 missioni, per un totale di 1400 ore di volo bellico. Al petto portava, al Valor militare, 2 medaglie di bronzo, 6 d’argento e 3 croci di ferro.
L’ultima missione in volo del suo gruppo fu il 19 aprile contro due bombardieri pesanti americani impegnati a lanciare rifornimenti ai partigiani italiani.
Quando ormai mancava anche il carburante per fare alzare in volo i velivoli, il 29 aprile 1945 firmò la resa del suo reparto a Gallarate, con un accordo negoziato col Comitato di Liberazione Alta Italia e col Comitato di Liberazione Nazionale, un accordo che sarà immediatamente violato dai partigiani. Fra i rappresentanti dei comitati partigiani c’è anche Aldo Aniasi, che sarà poi sindaco di Milano per nove anni, deputato, ministro, medaglia d’oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell’arte e Cavaliere di gran croce dell’Ordine del merito della Repubblica Italiana. Secondo gli accordi, ufficiali e avieri del gruppo sarebbero stati lasciati in libertà, incolumi, con l’impegno di consegnarsi alle autorità militari italiane o alleate come prigionieri di guerra. Prima della consegna Adriano disse al Maggiore Colonna al suo fianco: “Non so cosa dobbiamo fare, so cosa abbiamo fatto e saremo giudicati per questo, dagli uomini e anche da Dio.”
Di fronte al vescovo di Gallarate, al quale aveva lasciato le scorte alimentari del suo gruppo a beneficio dei civili bisognosi, pronuncerà il suo ultimo discorso ai suoi uomini: “Spero accetterete di servire ancora la Patria quando avrà bisogno di voi. Grazie per l’opera prestata, e tutti i nostri pensieri vadano ai Caduti. Per il resto, ogni responsabilità è mia.”
Vengono condotti alla caserma di via Vincenzo Monti di Milano, occupata dalle formazioni partigiane comuniste. E’ qui che i partigiani tradiscono gli impegni assunti con Visconti. Aiuta alla ricostruzione dei suoi ultimi momenti di vita il libro Sconosciuto 1945 di Giampaolo Pansa, che scrive:
Poco prima delle ore 14, un partigiano si affaccia alla porta del camerone e chiede “Chi è il maggiore?”. Visconti si fa’ avanti: “Sono io.” Il partigiano gli ordina di seguirlo. A quel punto si alza l’aiutante di Visconti. E’ un sottotenente di 23 anni, Valerio Stefanini, romano. Dice a Visconti: “Vi accompagno, comandante.” “Sta bene, vieni”, replica il maggiore, che pensa a un interrogatorio. Mentre attraversano il cortile della caserma, Visconti e Stefanini vengono colpiti alle spalle da raffiche di un fucile mitragliatore. Stefanini muore subito. Il maggiore cade sulle ginocchia e viene finito con due colpi di rivoltella alla nuca, sparati da un commissario politico presente all’esecuzione.
Aveva 30 anni. Così ebbe fine la vita dell’Eroe, dell’asso dei cieli ancora oggi celebrato dagli americani al museo dell’aviazione di Washington; e questa è un’onta per chi lo colpì alle spalle per non aver avuto il coraggio di confrontarsi col suo petto.
Ora i resti di Adriano riposano a Campo Dieci, e il suo spirito veglia ancora nei cieli di Milano.
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