IL BOMBARDAMENTO DI DRESDA

13 FEBBRAIO 1945: IL BOMBARDAMENTO DI DRESDA.

La particolarità della Distruzione di Dresda, sulla quale ancora non è stato detto abbastanza, è la mancanza di obiettivi strategici: la città era dichiarata “zona demilitarizzata” ed ospitava rifugiati e civili. Il bombardamento durò 14 ore e 10 minuti, e la distrusse quasi completamente. Il 13 è Martedì Grasso, l’avanzata sovietica è lontana 170 km ad est e la città non è un obiettivo strategico; la gente quindi scende in piazza a festeggiare la ricorrenza. Alle 22 inizia l’attacco: 224 Lancaster della Royal Air Force sganciano migliaia di bombe incendiarie e ordigni dirompenti. Tre ore più tardi altri 529 velivoli compiono la stessa operazione, anche con bombe al fosforo che bruciano le persone colpite. Tra le 12:15 e le 12:50 del giorno successivo è la volta dell’aviazione statunitense, che con 1350 aerei sgancia 770 tonnellate di bombe dirompenti. I resti della città bruceranno per una settimana, senza alcuna possibilità di spegnere l’incendio o soccorrere gli abitanti.
Alcuni piloti racconteranno che perfino dai loro aerei era possibile sentire l’acre odore di carne bruciata.
Il numero totale di vittime non è noto, ed è praticamente impossibile da calcolare: la popolazione di Dresda nel 1939 contava 642.000 abitanti ma si ritiene che i rifugiati fossero circa 200.000. Secondo alcuni storici, una valutazione verosimile è fra 25.000 e 35.000 morti, un bilancio non troppo diverso da quello relativo ad altri bombardamenti alleati su città tedesche

Nella notte tra martedì 13 e mercoledì 14 febbraio 1945 le sirene di allarme antiaereo segnano l’inizio dell’ultima, immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale in Europa: la Tempesta di Fuoco, il bombardamento anglo-americano su Dresda e la sua popolazione inerme. Questi sono i “liberatori”. “… Fu l’inizio di un nuovo attacco aereo. Il fosforo dilagò sull’asfalto. Bombe a benzina alzavano nell’aria fontane di fuoco alte venti metri. Fosforo già incendiato si riversò sulle rovine come un violento acquazzone. Sibilava e turbinava come un ciclone. Bombe più grosse e potenti sollevarono letteralmente in aria intere case…. Le persone uscivano urlanti dalle rovine. Torce viventi vacillavano e cadevano, si rialzavano e correvano sempre più in fretta… Alcuni bruciavano con fiamme biancastre, altri avvolti da fiamme di un rosso acceso. Alcuni si consumavano lentamente in una incandescenza giallo – blu, altri morivano in modo rapido e pietoso. Ma altri ancora correvano in circolo, o si agitavano a gambe all’aria, sbattendo la testa avanti e indietro e contorcendosi come serpi prima di ridursi a piccoli fantocci carbonizzati. Si muovevano, quindi erano ancora vivi… Il sergente, sempre così calmo, perse per la prima volta il controllo da quando lo conoscevamo. Proruppe in un acuto grido: ‘Fateli fuori, per Dio, accoppateli’… Sembra brutale. Era brutale. Ma meglio una morte rapida, data con un colpo di pistola, che una lenta, mostruosa agonia. Nessuno di loro aveva la minima possibilità di salvezza”