Nell’agosto del 1918 Gabriele D’Annunzio decise di celebrare il quarto anniversario della guerra scatenata dall’Austria, con un atto di straordinaria audacia che sarebbe valso a precisare il mutamento ormai avvenuto nella situazione generale (sulla Marna i tedeschi erano entrati in grave crisi) e il mutamento avvenuto in quella italiana -dopo le umiliazioni inflitte a Conrad e a Boerovic nelle settimane precedenti- per affermare la superiorità del nuovo spirito aggressivo dell’esercito grigioverde, e per sconquassare l’anima del nemico ormai indotto a disperare di una vittoria invano cercata con l’offensiva dei due comandanti.
Era l’alba del 9 agosto, quando – alle 5,30 – gli agili apparecchi della battezzata squadriglia “Serenissima” comandata dal maggiore Gabriele D’Annunzio e dal capitano Natale Palli, si levavano in volo dall’aeroscalo posto nelle immediate vicinanze di Padova.
Componevano l’avventuroso stormo sette Sva monoposti pilotati da GIORDANO GRANZAROLO, GINO ALLEGRI, ANTONIO LOCATELLI, PIETRO MASSONI, ALDO FINZI, GIUSEPPE SARTI e LUDOVICO CENSI e uno Sva a due posti, guidato dal capitano PALLI, nel quale si trovava il poeta. Ogni apparecchio portava un carico di venti chilogrammi di carta stampata; erano dei manifestini, i cosiddetti “l’arme lunga della gesta inerme”
Compatti intorno al loro comandante, gli “aquilotti” dalle ali tricolori, si alzarono in volo, passarono sopra Cervignano, quindi, risalendo la valle dell’Isonzo, rapidi e sicuri furono sopra Tolmino. Sotto vi erano le terre invase, con i fratelli oppressi, intorno alle sponde del fiume sacro le tragiche trincee dove per ventinove mesi i Fanti italiani avevano sofferto pene atroci nelle dodici tremende e tragiche battaglie; E non solo sofferto, ma molti sepolti dentro i fossati delle stesse trincee, o sotto un solo palmo di terra nei cimiteri abbandonati del Carso, in anonime tombe senza un fiore; dentro queste vi erano già calati circa 500.000 morti; e forse, nel sentire il rombo dei familiari motori, per un attimo si alzarono tutti dalle loro tombe per vedere quest’eroica e audace trasvolata, che osando l’impossibile, andava nientemeno che a Vienna a sgomentare i Comandi imperiali della grande potenza austriaca, ora in ginocchio, sola, con il suo alleato in una grave crisi, non militare ma logistica.
Sempre ordinato e veloce, lo stormo volava sull’ampia valle della Drava, sui monti boscosi della Carinzia. Attraverso la foschia e le nubi a tremila metri di quota ecco apparire sotto Reichenfels, Kapfenberg; poi sorpassata Nenberg, le nubi si dissolvevano, e subito dopo anche la foschia cedeva a poco a poco al cielo limpido con uno splendente sole.
Già appariva all’orizzonte una gran macchia grigia, Vienna, quando all’improvviso l’apparecchio pilotato dal tenente Sarti, si staccò dal gruppo e cominciò a perdere di velocità e d’altezza.
I compagni nel guardare la discesa lenta di quelle ali forse già stanche del lungo viaggio – erano quasi quattro ore che volavano- pur angosciati per la sua sorte diedero tutti mentalmente un triste addio allo sfortunato compagno e proseguirono compatti il volo.
Venti minuti dopo le 9, la Serenissima ridotta a sette apparecchi giungeva sopra la Capitale e prendeva a volteggiare nel cielo viennese, sconcertando ma anche meravigliando la folla immensa, accorsa nelle vie e nelle piazze a vedere lo stupendo e superbo spettacolo, ma anche con riverenziale timore a chiedersi “e ora cosa faranno?”.
La limpidezza di questa giornata, con gli audaci discesi a quota inferiore agli ottocento metri consentiva loro di distinguere nitidamente gli edifici, i giardini, le spianate, la folla nelle piazze e nelle larghe vie; e mentre prendevano numerose fotografie, lasciavano cadere, a decine e decine di migliaia di copie, due messaggi stampati – con il testo italiano e tedesco – su volantini che recavano impressa una piccola bandiera tricolore.
Oltre a questi due messaggi, i sette velivoli italiani lasciarono cadere sulla capitale austriaca tre grandi manifesti, nei quali erano riaffermate le idealità di guerra dell’Intesa e le sue vedute per la pace, definitiva e durevole, promessa ai nemici qualora si fossero arresi.
Dopo aver fatto queste evoluzioni per oltre venti minuti nel cielo viennese, gli audaci aquilotti, sempre stretti intorno alla carlinga del loro comandante, si allontanavano verso sud-ovest.
Com’è naturale, la via prescelta per il ritorno non era quella stessa dell’andata, sarebbe stata pericolosa, li avrebbero attesi al varco.
Le ali tricolori sorvolarono Graz, apparsa quasi deserta, quindi puntarono su Trieste. Qui, un idrovolante austriaco tentò di levarsi in volo all’inseguimento, ma prima di riuscire a raggiungere l’alta quota degli Sva, la squadriglia Serenissima era già lontana.
Sorvolarono l’Adriatico incrociando le torpediniere italiane che pur alcune allarmate – scambiandoli per nemici- non ebbero tempo d’intervenire. D’Annunzio e i suoi proseguendo si recarono nel cielo di Venezia. Il Poeta lasciò cadere un messaggio per l’ammiraglio e per il sindaco, nel quale comunicava la splendida riuscita della grande impresa.
Alle 12 e 40, gli eroi dell’epico volo su Vienna atterravano al campo di partenza dopo aver percorso – in sette ore e dieci minuti – mille chilometri, e oltre ottocento su territorio nemico a sfida di ogni avversità balistica ed aerea.
Mancava solo il tenente Giuseppe Sarti che, costretto prender terra vicino a Vienna, prima della cattura era riuscito a bruciare il suo aereo.
Inutile dire che dopo “l’incursione inerme” sulla Capitale nemica, gli effetti morali furono incalcolabili.
Forse il miglior commento e valore dell’impresa, fu fatto da un giornale austriaco, l’Arbeiter Zeitung dedicando un titolo, con due domande senza risposta.
“Dove sono i nostri D’Annunzio?
“D’Annunzio, che noi ritenevamo un uomo gonfio di presunzione, l’oratore pagato per la propaganda di guerra grande stile, ha dimostrato d’essere un uomo all’altezza del compito e un bravissimo ufficiale aviatore. Il difficile e faticoso volo da lui eseguito, nella sua non più giovane età, dimostra a sufficienza il valore del Poeta italiano che a noi certo non piace dipingere come un commediante.
E i nostri D’Annunzio, dove sono?
Anche tra noi si contano in gran numero quelli che allo scoppiar della guerra declamarono enfatiche poesie. Però nessuno di loro ha il coraggio di fare l’aviatore!”.