4 Novembre 1918: Festa della Vittoria, in memoria dei seicentomila soldati italiani caduti nella Grande guerra.

Che senso ha la ricorrenza di oggi, in un’Italia che ha derubricato il 4 Novembre a festa minore, con commemorazioni istituzionali spesso condite dalla retorica antinazionale e pacifista che parla di “mondo senza confini” e di “inutile strage”?
Ecco, forse non c’è migliore pro memoria di ciò che è oggi il nostro dovere. Anche i volontari della Grande Guerra e gli interventisti allora non rappresentavano l’Italia ufficiale del Parlamento e delle congreghe: eppure, i valori da loro incarnati nelle trincee e sul fronte contribuirono alla Vittoria dell’Italia.
Ecco il senso: il privilegio di sentire ancora le voci di quei seicentomila Eroi che sacrificarono la loro vita per la Patria nelle trincee del Carso e del Monte Grappa, sulle rive del Piave, nel momento cupo di Caporetto come in quello vittorioso di Vittorio Veneto.
Voci che speso sono “pietrificate” in quella miriade di cippi, targhe e monumenti ai caduti della prima guerra mondiale che riempiono le città italiane, segni tangibili di una testimonianza che i nostri padri hanno voluto tramandarci prescindendo dal fatto che l’Italia ufficiale rinunciataria e disfattista li avrebbe potuti dimenticare.
Quell’Italia avrebbe potuto anche dimenticarli, come del resto la stessa Italia ufficiale li aveva bistrattati mentre si immolavano contro il nemico.
Ma le future generazioni no, non avrebbero mai dovuto dimenticare il loro sacrificio, perché non la celebrazione retorica, ma il loro Esempio in un momento storico che sembra avere rinnegato completamente ogni senso di Patria è il seme dal quale risorgerà la Nazione.