Un paracadutista italiano della divisione “Folgore” scrisse:
“Intorno a noi sono tante tombe, tutti noi che siamo gli unici vivi, non abbiamo più nulla da opporre e dal nulla laggiù, all’orizzonte di El Alamein, si affaccia il sole. Non diteci che tutto è stato inutile, voi che potete, piangete per noi. Nei nostri corpi riarsi, non c’è più linfa, per farlo a quota 33, ora il silenzio, solo lo spirito degli eroi è presente. I beduini affermano di aver visto ad El Alamein il fantasma di un soldato vestito di tela, con un cappello di ferro con tante piume che sventolano da una parte” e io aggiungo, forse un eroico bersagliere. La Divisione Folgore (i paracadutisti n.d.r.), sinonimo di eroismo, e questa definizione è del Generale inglese Alexander: “che testimonia fedelmente che sono parole dette talaltro, dal nemico, la forza di volontà, l’entusiasmo, lo stoicismo della Divisione che ha segnato una pagina indimenticabile, forse la più bella di una guerra dura e massacrante. Gli atti eroici dei paracadutisti, dei bersaglieri, fanti, artiglieri eccetera… ma la più commovente fase che si è verificata è quella di El Alamein, una battaglia che ha deciso le sorti del fronte Africano, una battaglia perduta da tutti, non certo dal soldato italiano, che ne risulta moralmente il vincitore. I ragazzi, così chiamati perché tutti giovani, seppero resistere all’artiglieria e agli attacchi di aerei, mezzi corazzati equivalenti al tipo di quelli dei nostri soldati (…) i ragazzi italiani presidiarono El Alamein nonostante la scarsità di armi e mezzi, d’acqua e le condizioni fisiche del soldato erano per la maggior parte minate da febbri anemiche; Come dimenticare queste cose, come non ascoltarle?”